venerdì 6 agosto 2010

Come carne elementare



Recensione a Serie del ritorno di Stefano Massari – edizione La Vita Felice, Milano, 2009

Che cos’è la morte? È quando qualcuno smette di vivere.
E quando una persona smette di vivere? Quando uno è vecchio oppure è molto malato. (…)
Tutti devono morire? Si.
Veramente tutti? Sì. Tutti devono morire.
Anche tu? Si, anch’io.
Anch’io? Si, anche tu, ma tra molto tempo. Per noi c’è ancora molto tempo.
E nessuno può fare nulla per evitarlo? Deve succedere? Sì, ma tra molto tempo.
Questo è un intenso dialogo tratto da Il nastro bianco, l’ultimo film di Michael Haneke, acclamato quest’anno a Cannes come vincitore. Un dialogo sulla morte e sul tempo tra un bambino e una giovane donna. La scoperta della morte fisica da parte di un bambino, della sua necessità porta con sé tutta la tragicità della condizione umana. Siamo tutti bambini, disorientati e inermi, di fronte a un evento così assoluto e ineluttabile. Queste parole le ho immediatamente associate all’ultimo libro di Stefano Massari La serie del ritorno. Un libro febbrile e crudo che attraversa la morte, la sua attesa, percuotendo le corde del dolore. La serie del ritorno è appunto una serie, tenta di stabilire un ordine, una successione per sconfiggere il caos, l’entropia che la morte porta con sé. I titoli dei nove capitoli, in cui è suddivisa la raccolta, rimandano a un tempo misurato con la precisione degli orologi digitali. Si apre con 00.00, un’ora zero, un inizio che potrebbe essere collocato in qualsiasi momento di ogni esistenza. La serie poi continua in una sorta di time code, una sequenza di cifre temporali che si svolge nell’arco di ventiquattro ore. Una sorta di conto alla rovescia. La scala delle ore scandisce la risalita del tempo verso la fine, ma anche verso un nuovo inizio. Un’iniziazione alla vita che passa attraverso il fuoco, che tutto arde, della morte. Nel viaggio verso una fine annunciata si dispiega infatti la tensione massima alla vita. Come in un paradosso la vita si impenna e grida vicino alla soglia. A chi resta tocca il compito di sincronizzare il tempo interiore alla realtà, allo scivolare del corpo nell’addio (“…sull’asse animale di questo urto incessante addio”). Il corpo e la sua cura sono il centro di quest’avventura tutta umana. Nella danza feroce tra l’essere e il nulla si ustiona la sua carne: “…ogni corpo che nasce è alleanza/ ogni corpo che muore è obbedienza”)
Un libro, quello di Stefano Massari, dove “la parola è tempestosa. Chiede, invoca, comanda, crolla” afferma Milo De Angelis nella prefazione, dove avviene un’apocalisse della carne e si combatte la tentazione del pudore, del non dire. La parola avviene qui secondo un ritmo percussivo dettato dall’urgenza di una tragedia incombente. Un libro-poema, dove il testo si dispone in senso orizzontale, aprendo varchi al bianco degli spazi tipografici, che dettano il ritmo di un respiro spezzato. La poesia qui fa perno sul ritmo, è parola che prende forma nel respiro di un corpo che si fa voce. Voce che entra nella stortura del destino umano sempre in bilico tra l’ insurrezione e l’obbedienza perché “sono l’obbedienza del dolore alleata cieca ai vivi benedetta/ da chi muore senza storia senza cura senza prove”. La parola è pulsazione, in cui si concentra l’urto tra il sentire e la realtà. Qui si narra della lotta e del senso d’abbandono, del cedimento infine alla legge del corpo e della natura: “la morte che dovevi diventare”, “La morte …che ti scavavi tra le gambe lungo l’arteria femorale quando mentire era salvare non avevamo altro”. Si tenta di dare forma al dolore, di cucire la ferita aperta, “tutta la mia paura muta trattenuta nella gola cieca senza cura/ inchiodata al cerchio della perdita”. Si va in cerca della guarigione, di una qualche forma di salvezza, dando spazio al giuramento d’amore: “dovevamo essere interi . tu ricordi?/ Dicevi mangia con me parla con me tienimi aperta lentamente/dammi il tuo gesto pulito il tuo riposo interamente”. Si va in cerca di un ritorno alla vita: “io troppo tardi sento che dovrei tornare/ tornare ancora sento che dovrei soltanto chiedere perdono alla vita”

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