mercoledì 10 ottobre 2012

Regis Vidal: il principe della plastica

Art is a dirty job di Vanessa Sorrentino


Ho un appuntamento con Regis-R Vidal nel suo studio ad Aubervilliers, un piccolo comune nella prima periferia di Parigi. Prima di partire mi annoto i passaggi più divertenti della sua biografia: Regis-R nasce nel 1973 in piena crisi petrolifera. Dal 1976 al 1980 gioca con i Lego e la Playmobil. Nel 1982 i suoi genitori gli regalano un coltellino con cui si fabbrica dei giocattoli in legno. Al 1987 risale la sua prima creazione: una lampada costruita con una bottiglia della Coca Cola. Tra il 1991 à 1993 studia Architettura a Bordeaux e crea le sue prime opere basate sul recupero. Nel 1994 entra nell'Ecole Nationale des Arts Décoratifs di Parigi.


Continua la sua ricerca e la plastica diventa il suo materiale preferito. Nel 1999 si stabilisce a Montreuil in un atelier, dove nasce la sua passione per la musica elettronica, per i viaggi in Vespa. Sono le 17 arrivo in Rue Casanova, suono il campanello, Regis mi apre, attraversiamo un cortile su cui si affacciano diversi studi di artisti e brocanteurs, rigattieri dediti al restauro di vecchi oggetti. Entrando nel suo laboratorio la prima impressione è quella di precipitare nel regno incantato di una discarica, ma a poco a poco dietro l’apparente caos si intuisce la sua cura nell’ordinare ogni oggetto e materiale di recupero. Gomme di bicicletta, filtri di sigaretta, taniche e bottiglie di plastica, ritagli di legno come belle addormentate se ne stanno ad aspettare il bacio del principe che le risveglierà. Regis ama farsi chiamare così, The prince of plastic, proprio per questa sua capacità di resuscitare gli scarti della nostra società e trasformarli in opere d’arte colorate, intelligenti e ironiche.

La R di Regis-R si riferisce al riciclo?
La R all’inizio era una ripetizione megalomane dell’iniziale del mio nome, certamente ci si può anche trovare un richiamo alla mia pratica artistica fondata sul riciclo e sul recupero, ma è una R aperta…un mio amico ama dire che è la R di Raw che in inglese significa selvaggio. Io amo l’idea che questa R dica quello che si vuole farle dire, una R libera a tutte le interpretazioni.

Come hai deciso di lavorare, recuperando i materiali di scarto?
Mi piace assemblare materiali di diverso tipo, ma soprattutto materiali poveri. È economico, ecologico e legato all'interiorità, per la creazione è interessante.

Perchè utilizzi soprattutto la plastica? Io uso molta plastica, in effetti c'è una possibilità di scelta molto vasta per questo tipo di materiale. È estremamente facile da trovare e se ne possono raccogliere quantità enormi. Noi apparteniamo a una generazione, che ha conosciuto sin dall'infanzia la plastica, a cominciare dai giocattoli.


Qual è il processo che ti conduce alla creazione di un’opera?
Ora, a seconda di quello che voglio dire e rappresentare, prima di tutto faccio dei disegni, degli schizzi preparatori, poi realizzo dei modellini e da quelli realizzo le opere in grande. Tempo fa non facevo questo lavoro di preparazione. Penso alla fine che sia meglio, che sia più efficace, perchè con il disegno tu puoi sapere prima se una cosa funziona o no. È anche il modo migliore di comunicare agli altri cosa hai in mente. Di solito io non lavoro solo, ma con un’equipe di artisti o studenti che possono andare da uno fino a dieci persone.

Qual è, tra le opere che hai realizzato, quella che hai amato di più ?
L’opera che attualmente amo di piu’ e di cui mi sto ancora occupando è la mia macchina. La sto trasformando in un’opera d’arte in movimento.

E la più riuscita ?
Senz’altro è ARTuro, lo scheletro è l’opera che ha ottenuto più consensi da parte del pubblico, quella che ha suscitato più interesse e curiosità.


Perché ARTuro ha avuto così tanto successo?
Io penso che ha avuto successo per tre ragioni:
Per la sua misura gigantesca (10 metri di altezza) e per l’impatto visivo che ne consegue.
Per il tema che questa opera evoca, un tema universale, quello della morte che può essere avvicinato alle vanità dell’arte occidentale che invitavano a meditare sulla natura precaria della vita umana.
Per i diversi modi in cui posso presentarlo…io lo utilizzo come una bambola, una Barbie, cambio i suoi accessori a seconda del tema che voglio evocare.
Nell’installazione The party is over ARTuro parlava di potere e di ricchezza. L’immagine era quella di uno scheletro che gozzovigliava come nei festini da fine Impero Romano. Sdraiato se la godeva, mangiando il suo grappolo d’uva, mentre da un baule uscivano ricchezze guadagnate con la violenza, rappresentata dalle pistole e dal kalashnicov.

Quali sono i tuoi artisti preferiti del passato e contemporanei?
Amo Wharol per la sua riflessione sulla produzione di opere d’arte in serie, per i suoi colori e la pertinenza dei suoi temi. Basquiat per la sua libertà d’espressione, il suo istinto creativo, i suoi colori, l’aspetto graffiti delle sue opere. Amo Tinguely per la sua ingegnosità e la sua creatività così come per la poesia che si sprigiona dai suoi assemblaggi in movimento. Amo inoltre molto le installazioni di Damian Ortega che trovo molto intelligenti, precise e raffinate. Mi piacciono tantissimo anche gli artisti della musica. Trovo in essa una fonte d'ispirazione. Adoro in particolare la musica elettronica, i Chemical Brothers: li ho visti in concerto e vorrei realizzare una scenografia per i loro spettacoli.

Da cosa nasce la tua passione per i murales e per le installazioni sulla strada?
Adoro fare opere per lo spazio pubblico, poiché queste sono offerte ai passanti, è un tentativo di democratizzazione dell’arte. Inoltre mi interessa perché io mi considero un artista popolare, infatti cerco sempre di raggiungere il più grande numero di persone aldilà delle culture, delle classi sociali, dell’età etc.

In quali spazi immagini le tue opere future ?
Vedo bene le mie opere collocate nei musei e come installazioni in esterno in special modo sulla strada. Io amo lavorare sulla strada, fra qualche settimana dovrò recarmi a Londra perché mi è stata commissionata un’opera murale.




Ci puoi parlare dell’opera che hai presentato al museo municipale di Oyonnax?
Ho presentato un’installazione che si chiama Plastic city. Si tratta di una città in miniatura che si sviluppa su un muro, composta unicamente di materiali di recupero. La città si vede dall’alto, come se fossimo in aereo. Trovo che i paesaggi visti dall’aereo siano magnifici.

Nel 2011 hai realizzato appositamente per il Centre Pompidou, Back to the caves, un antro nel quale proponevi laboratori per adolescenti, ce ne parli?
L’idea era quella di ricostruire una grotta, un bozzolo nello spazio quadrato e asettico del museo. Si trattava di un’installazione site specific, realizzata questa volta essenzialemente in legno. Un’opera totale nella quale il pubblico si trovava immerso. Si trattava di un enorme patchwork di legno, che si sviluppava su una superficie di più di 100 metri quadrati (pavimento e muri compresi). All’interno di questo spazio tenevo laboratori rivolti agli adolescenti sul riciclo artistico.

Quali sono I tuoi progetti per il futuro?
Vorrei dare alle mie creazioni una visibilità mondiale, creare una collezione di mobili in plastica riciclata, costruire la scenografia per i concerti dei Chemical Brothers, lavorare con Terry Gilliam, realizzare le decorazioni natalizie della Casa Bianca, ma soprattutto voglio andare a vivere in Brasile.

Perché proprio in Brasile?
Io sono un fan dell’America del sud e il Brasile mi sembra essere il Paese più evoluto in termini di cultura. Possiede una sua identità specialmente per quanto riguarda la scena artistica (musica, design, graffiti, arti plastiche etc.). In più mi sembra che laggiù ci sia, molto più che in Europa, una sensibilità per il riciclo e il recupero (fratelli Campana, Vik Muniz).

Puoi regalarmi una frase di chiusura dell’articolo, una citazione che tu ami e che rappresenta la tua filosofia di vita?
Se tutto è illusione, scegliamo le più belle!

Grazie.

In uscita a Ottobre 2012 sul numero di Dada dedicato a Keith Haring